Lo dico nella prima riga: lunedì 4 ottobre 2021 ero presente, nella mia qualità di membro della III Commissione di Revisione, alla sessione di appello in cui, congiuntamente alla Commissione II, è stato confermato al film LA SCUOLA CATTOLICA il divieto ai minori di 18 anni.
Ci siete ancora? Allora preciso subito un’altra cosa importante: che io ho votato per la derubrica del divieto da VM18 a VM14. Che ho discusso molto vivacemente per sostenere la mia posizione. Solo che quando, alla fine della sessione, siamo andati ai voti, noi che volevamo derubricare siamo finiti in minoranza. Outvoted, si dice in inglese. E quindi LA SCUOLA CATTOLICA è rimasto vietato ai minori di 18 anni e con questo divieto al collo affronta, da oggi, il suo battesimo in sala.
Io, il film, l’avevo visto alla Mostra di Venezia. Avevo pure intervistato il regista, Stefano Mordini, e l’attrice Jasmine Trinca (l’intervista integrale la trovate qui). Personalmente non mi aveva entusiasmato – forse a causa dell’inevitabile paragone con l’oceanico romanzo di Edoardo Albinati, premio Strega 2016, che invece mi era piaciuto moltissimo – ma fra i suoi meriti mi è parso di individuare una grande attenzione nel rimettere in scena un fatto di cronaca orrendo come il massacro del Circeo evitando di farne spettacolo. Raccontando il sequestro, lo stupro reiterato, la brutalizzazione, l’assassinio (e il tentato assassinio) di due ragazze colpevoli di nulla se non di essersi fidate di coetanei che le invitavano in una villa al mare, Mordini e i suoi sceneggiatori sono stati attenti a evitare qualsiasi compiacimento. Anzi, ben sapendo che le immagini hanno una forza suggestiva che a volte va al di là delle intenzioni con cui sono state realizzate, lasciano che i dettagli più esecrabili restino fuori campo concentrandosi semmai sugli effetti.
Al di là del suo valore artistico, che qui non è in discussione, LA SCUOLA CATTOLICA non racconta un fatto del 1975 per il gusto di farlo: lo fa perché, nonostante l’eco allucinante del massacro del Circeo, l’Ordinamento ci mise altri sei anni ad abolire l’articolo del Codice Rocco che consentiva allo stupratore di sanare il suo crimine con un matrimonio riparatore (1981) – e si è dovuto aspettare il 1996 (21 anni dopo) per riconoscere la violenza carnale come reato contro la persona e non, come era classificato fino a quel momento, contro la morale.
LA SCUOLA CATTOLICA racconta quella storia di 45 anni fa perché ancora oggi c’è gente capace di commentare che indossare una minigonna possa significare essersela cercata. Ed è anche (e forse soprattutto) per questo che a mio parere la visione del film non sarebbe da sconsigliare a un pubblico di adolescenti. Come cautionary tale, se volete: per ricordarci che il male esiste e spesso è molto più vicino di quanto vogliamo credere. Per essere consapevoli che aver visto un paio di stagioni della serie BABY non significa avere un’idea di dove sia il pericolo. E il fatto che Donatella Colasanti sia interpretata da Benedetta Porcaroli, che di BABY è una delle protagoniste, sembra una scelta precisa per chiamare all’appello quella platea e, in qualche modo, proporle una sorta di antidoto. Scioccante ma in grado di lasciare un segno. Io figli non ne ho, ma avevo in programma di andare a rivedere il film con un paio di nipoti che stanno attraversando proprio quell’età critica, peraltro in un ambiente molto simile a quello del libro e del film.
Torniamo alla vicenda amministrativa del film? Venerdì della scorsa settimana, la Commissione di primo grado gli ha comminato un divieto ai minori di 18 anni. Un atto condivisibile o meno ma di per sé legittimo, accompagnato però da una motivazione alquanto indifendibile. Perché non si pronuncia, come sarebbe suo dovere, circa il rischio o meno che la visione di LA SCUOLA CATTOLICA possa avere effetti negativi sullo sviluppo psicologico ed emotivo degli spettatori sotto i 18 anni, ma dimostra di non aver capito granché del film:
(…) Il film presenta una narrazione filmica che ha come suo punto centrale la sostanziale equiparazione della vittima e del carnefice. In particolare i protagonisti della vicenda pur partendo da situazioni sociali diverse, finiscono per apparire tutti incapaci di comprendere la situazione in cui si trovano coinvolti. Questa lettura che appare dalle immagini, assai violente negli ultimi venti minuti, viene preceduta nella prima parte del film, da una scena in cui un professore, soffermandosi su un dipinto in cui Cristo viene flagellato, fornisce assieme ai ragazzi, tra i quali gli omicidi del Circeo, un’interpretazione in cui gli stessi, Gesù Cristo e i flagellanti vengono sostanzialmente messi sullo stesso piano. (…)
Vedendo il film, è evidente quanto questa lettura sia sbagliata. La scena del professore che offre ai suoi studenti la provocazione intellettuale di chiedersi in che misura il bene e il male abbiano bisogno uno dell’altro per essere definiti serve a disegnare l’ambiente da cui nascevano i mostri del Circeo ma anche uno scrittore del livello di Edoardo Albinati. Non mira certo a proporre una sorta di folle relativismo morale ma, al contrario, ad affermare il diritto e il dovere di scegliere fra il bene e il male.
Ora: si potrebbe sostenere che se la maggioranza dei membri, adulti, della prima Commissione sono riusciti a fraintendere in modo così assoluto il senso del film, non è così illegittimo temere che nello stesso errore possano incorrere anche alcuni spettatori minorenni. Tuttavia personalmente a me sembra che, sopra i quattordici anni, una persona abbia già tutti gli strumenti per comprendere quello che vede. Quando, lunedì scorso, mi sono trovato davanti a dover votare a favore della derubrica non ho dovuto pensarci due volte.
Dopo la visione del film e prima della discussione, come prevedono le regole, c’è stato il cosiddetto “ascolto”, vale a dire una sorta di arringa difensiva del film pronunciata, in quel caso, da gran parte degli autori in persona: il regista Stefano Mordini, il produttore Roberto Sessa, Valeria Golino e Valentina Cervi – due delle protagoniste del film – e persino, in apertura, Edoardo Albinati. Tutti hanno spiegato l’obiettivo di libro e film, la cautela adoperata nel toccare un tema così delicato, la centralità data alla possibilità e al dovere della scelta. In chiusura, ci hanno segnalato come il film fosse stato approvato, dopo sofferta visione, anche dai parenti delle due ragazze vittime del massacro. Dopo di che, usciti gli autori, è iniziata la discussione.
Non ero l’unico a favore dell’abbassamento del divieto, ma posso parlare solo per me stesso. Ho argomentato che la rappresentazione del male, quando è critica e non connivente come in questo caso, non va confusa col male stesso e non va per questo rifiutata, anzi può essere auspicabile. L’obiezione di chi la pensava diversamente è stata che a 14 anni non è detto che si disponga di tutti gli strumenti critici, culturali ed emotivi per decodificare correttamente certi temi.
La faccio breve: abbiamo discusso a lungo fino all’esaurimento degli argomenti da una parte e dall’altra, poi alla fine siamo andati ai voti. A maggioranza, ha prevalso l’idea di confermare il divieto ai 18. Non è la prima volta che la mia opinione non prevale nella discussione. Ma, per dire, quello stesso pomeriggio mi sono trovato invece in maggioranza nel deliberare la derubrica (da VM14 a “per tutti”) di un altro film sottoposto ad appello. Nell’un caso e nell’altro, la decisione resta collegiale ma, agli atti, si precisa che è stata presa a maggioranza, vale a dire con il voto contrario di uno o più membri.
La cronaca di quel lunedì pomeriggio finirebbe qui se non fosse che la motivazione di prima istanza era parsa indifendibile anche da chi concordava sulla decisione del VM18. E’ stata quindi scritta una nuova motivazione che, pur nel confermare il divieto, ne spiegasse il motivo in termini, se non condivisibili, quantomeno degni di rispetto. Dopo di che, come prescrive il regolamento, ciascuno dei presenti ha firmato il registro di presenza ed è tornato a casa, ognuno con in tasca le sue vittorie o sconfitte di quel giorno. Prima di andarmene ho detto ai colleghi commissari: “spero che siamo tutti consapevoli che con questa delibera finiamo sui giornali entro un paio di giorni”.
Ci è voluto molto meno: già il giorno dopo usciva sulla versione online di Ciak Magazine il primo articolo in proposito, seguito da un pezzo sul Corriere online e da numerosi post sui social più frequentati. Su Facebook, Michele Anselmi mi ha chiamato direttamente in causa con più o meno benevola insistenza e in breve tempo mi sono ritrovato impegnato in un curioso tiro incrociato, a dover precisare da un lato la mia posizione personale e dall’altra a difendere la legittimità se non il merito della decisione che avevo tentato di evitare e, addirittura, il senso stesso della mia partecipazione a una Commissione di revisione.
I social, però, non sono esattamente lo strumento migliore per un confronto pacato e costruttivo. Ed è solo questo il motivo di questa piccola memoria, che vorrei concludere con qualche puntino sulle proverbiali “i”.
- Sebbene da mesi sia stato annunciato il cambiamento delle norme che regolano la Revisione Cinematografica (la cosiddetta “censura”), questa decisione è stata presa ancora sulla base del vecchio sistema, perché in tutti questi anni ancora non è stato avviato quello nuovo. Come le altre Commissioni, anche quella di cui faccio parte io sarebbe dovuta scadere il 23 febbraio del 2018. Lo potete verificare anche subito visitando il sito del ministero a questo link. In tutto questo tempo ci è stato chiesto più volte di continuare il nostro servizio mentre si aspettava la definizione e l’investitura ufficiale dei nuovi incaricati. A cosa sia dovuto questo ritardo arrivato ormai a tre anni e mezzo io lo ignoro, ma è bene tenerlo presente.
- Nulla garantisce che sotto il “nuovo” sistema LA SCUOLA CATTOLICA avrebbe avuto miglior sorte. Laddove finora una Commissione comminava un divieto suscettibile poi di appello (ed eventualmente di ricorso al TAR), secondo il nuovo ordinamento il distributore dovrà proporre lui un eventuale divieto – ma poi ci sarà una Commissione che dovrà decidere se avallarlo oppure renderlo più stringente. L’altra novità di un qualche rilievo è che le nuove Commissioni, a differenza delle attuali, non avranno il potere di concedere o meno il nullaosta alla proiezione di un film – ma va detto che l’ultimo diniego di nullaosta risale a dieci anni fa e che credo nessuno si sia sognato di esercitare questo potere nei confronti del film di Mordini.
- Parlare di “censura” per un divieto ai minori di anni 18 sembra per molti implicare che non si debba più parlare di “censura” se il divieto è ai minori di anni 14. E perché mai? Il film resta quello che è e gli spettatori che secondo la legge hanno la maturità per comprenderlo senza subirne danni possono fruirne liberamente in sala, così come potranno fruirne liberamente acquistandone il DVD o visionandolo su una piattaforma di streaming. In TV no, almeno finché resterà in vigore la legge che vieta la trasmissione televisiva di film vietati ai minori di anni 18. Ma le leggi cambiano col tempo e, aggiungerei, sarebbe ora di rimettere mano anche a quella.
Io ritengo giusto tenere lontano i giovani da film violenti. Di violenza ne abbiamo già troppa, meglio andare al cinema inteso come spettacolo.
Dissento dal principio che il cinema debba essere ritenuto solo una distrazione, Antonino. Ma concordo che si debba valutare caso per caso e che non tutto debba essere visibile a tutti. Ciò detto, la mia opinione su questo film quella resta – ovviamente il tuo disaccordo è benvenuto, purché espresso a ragion veduta. Lo hai visto, vero?